di Alberto Grillo
Vorrei dire la mia, con qualche giorno di ritardo, sull’episodio riguardante il ministro Poletti e la sua frase “meglio uscire dall’università con 97 a 21 anni che con 110 e lode a 28 anni”. Linko quest’articolo del corriere perché riporta anche i dati dell’ultimo rapporto di Almalaurea sui laureati italiani. La mia opinione in breve è che se di questo tragicomico aspetto dell’università italiana se n’è accorto anche un ministro della repubblica, forse c’è speranza che qualcosa cambi (per quanto ritengo anche io che nel suo caso sarebbe stato più elegante fare direttamente riferimento alla sua situazione di non laureato senza aspettare la presa in giro collettiva).
Nel 2014 l’età media dei laureati italiani di laurea specialistica è stata di 27,7 anni (dovrebbe essere di 24 per chi finisce “in tempo”) e il voto medio di laurea di 107,5 su 110. Questi dati sono semplicemente IMBARAZZANTI. Chi tra i miei dieci lettori ha rudimenti di statistica può provare a immaginare, a partire da queste medie, quali siano le rispettive mediane e provare ancora più imbarazzo. Michael Spence ha ricevuto il premio nobel in Economia per aver evidenziato, ormai più di 40 anni fa, quanto sia importante il ruolo di segnalazione che l’istruzione svolge per il mercato del lavoro. E’ evidente che questo meccanismo di segnalazione in Italia non passa al momento attraverso il voto di laurea, ma attraverso altri criteri (quali facoltà o quali università e il tempo impiegato, da qui le parole del ministro). Altrettanto evidente è che ciò sia meno efficiente.
Aggiungo un paio di riflessioni. La prima riguarda i rimedi: ce ne sono due che possono essere messi in pratica facilmente e senza costi. Il primo è ridurre l’importanza della tesi di laurea nel curriculum, quindi il tempo ad essa dedicato e il suo peso sul voto di laurea. Tesi di 200-300 pagine scritte in media abbastanza male non servono a nulla e non se le legge nessuno, non la gran parte dei relatori (che barattano il tempo sottratto alla lettura con un bel punteggio), non chi ci vuole offrire un lavoro, non i nostri nonni che preferiscono uscire a guardare i cantieri. Un’idea rivoluzionaria? No. Il secondo è ridurre drasticamente il numero di appelli per ciascun esame. In molti altri paesi gli appelli sono uno, due o massimo tre. In Italia arrivano a dieci o oltre. In altri paesi gli esami si fanno, in Italia si provano. Non bisogna essere dei fini psicologi per capire che andare a provare gli esami fa perdere un sacco di tempo. In altri paesi la sessione di esami finisce a maggio e gli studenti possono fare uno-due mesi di stage all’anno senza rinunciare alle vacanze. In Italia il 30 luglio ci sono ancora esami e ci sembra fuori dal mondo che le imprese chiedano ai neolaureati sia di essere giovani sia di avere un minimo di esperienza lavorativa. Un’idea rivoluzionaria? Non credo.
La seconda riflessione riguarda la risposta dell’Unione degli Universitari (riportata nell’articolo del corriere), i quali dicono che l’età dei neolaureati italiani è perfettamente in linea con la media europea. Questo, secondo una mia rapida ricerca, sembra essere vero (almeno per quanto riguarda la mediana). Nel commentare questo dato però, bisogna tener conto di quanti sono i laureati italiani rispetto ai laureati negli altri principali paesi europei: molti molti meno. Se un paese tenta di aumentare il numero di laureati, è naturale aspettarsi che in caso di successo i nuovi laureati abbiano in media più difficoltà a laurearsi (e quindi ci mettano di più): sono studenti marginali, che partono da condizioni sociali in media più svantaggiose. Sottolineare che l’età dei neolaureati italiani è in media con gli altri paesi europei quando questi sono in numero molto inferiore è pertanto fuorviante: ci aspetteremmo che fossero più giovani. Vi faccio un esempio analogo: sapete quale paese tra Italia e Germania è più produttivo? Risposta sbagliata, è l’Italia! Tutto dipende dal fatto che il numero di occupati in Italia è di gran lunga inferiore a quelli in Germania e quando un qualunque paese (la Germania) attua politiche per aumentare l’occupazione il tasso medio di produttività cala, perché i nuovi occupati sono meno produttivi. Per tornare ai neolaureati, ovviamente lo stesso discorso vale per quanto riguarda il voto di laurea: visto l’esiguo numero di laureati in Italia, è normale aspettarsi un voto medio di laurea superiore agli altri paesi (107,5 su 110 rimane IMBARAZZANTE).
Vivo all’estero da tre anni e sto imparando a rivalutare continuamente, alle volte in meglio, alle volte in peggio, le peculiarità del nostro paese. La media dei voti di laurea appartiene purtroppo alla categoria delle rivalutazioni in peggio e ci copre di ridicolo. Speriamo che le cose cambino in fretta.